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Associazione Archès

LA CENTOPIETRE DI PATÙ. STUDI DI PIETRO CAVOTI

di Marco Cavalera

Il volume “La Centopietre di Patù. Studi di Pietro Cavoti”, a cura dello studioso galatinese Luigi Galante (edito da EdiPan) raccoglie una serie di acquerelli e interessanti cenni illustrativi che riguardano il monumento simbolo di Patù, ossia la cosiddetta Centopietre.

Il manoscritto, del 1878, è stato per oltre 130 anni tra i documenti nascosti del Museo Comunale di Galatina, intitolato non a caso a Pietro Cavoti. Illustre studioso della bella città salentina, coevo di Arditi e De Giorgi, era stretto conoscente dei due, forse più edotto ma di carattere chiuso e introverso, che lo ha portato a non rendere pubblici i suoi studi.

L’importanza degli schizzi del Cavoti, che rappresentano con una “perizia quasi fotografica” gli affreschi presenti nella Centopietre, risiede nel fatto che degli stessi dipinti, discretamente visibili quasi un secolo e mezzo fa, non rimangono che brandelli indefinibili di bizantineggiante decorazione pittorica.

  Particolare dell’affresco raffigurante un San Giuliano giovane. 

Lo studio del monumento patuense nasce dall’incarico affidato dalla Commissione Conservatrice dei Monumenti della Terra d’Otranto nel 1878, assieme ai già citati De Giorgi e Arditi, nell’ambito del progetto del Regno d’Italia di catalogazione dei beni monumentali e artistici. I monumenti di interesse nazionale della penisola salentina, censiti e descritti dal Cavoti, sono stati dodici, tra cui la Centopietre di Patù. Quest’ultimo, tuttavia, ha presentato diverse problematiche di attribuzione funzionale e cronologica, e per tale motivo la consulenza per lo studio fu affidata ai tre maggiori esponenti della cultura salentina dell’epoca. In realtà Pietro Cavoti effettuò da solo i sopralluoghi a Patù, dopo il primo “viaggio di gruppo” datato al 4 aprile del 1878.

Il libro, proposto in un veste grafica elegante e raffinata, offre non solo interessanti spunti biografici di uno studioso poco conosciuto e – ingiustamente – poco considerato negli ambienti accademici, ma si rivela piuttosto utile per lo studio e l’analisi di un monumento enigmatico e intriso di mistero come la Centopietre di Patù, seppur basandosi su conoscenze e studi oggi superati, che lo consideravano ancora un edificio di età preistorica e/o messapica. Si conclude, a tal proposito, con le considerazioni finali di Cavoti: “Se alla casa delle Centopietre vorremmo dare un nome secondo la forma essenziale della sua costruzione, io non dubiterei di chiamarla Monumento Pelasgico. Se poi vorremmo accennare, oltre alla sua natura, anche il luogo ove sorge; allora senza dubbio la chiamerei Monumento Messapico. E questo nome mi piacerebbe perché accennando l’importante antichità del Monumento e la somma rarità, anzi l’unicità sua, mostrerebbe anche la necessità di conservarlo gelosamente. Poiché non si tratta di avanzi di mura, di recinti o di porte, di cui nella Provincia, nell’Italia ed altrove abbiamo altissimi esempi, ma trattasi di una casa intera la quale contro la guerra di tanti e tanti secoli rimane lì come indizio misterioso della vita di un popolo di cui tutta la storia si narra con queste disperate parole: etiam periere ruine[1]”. Concetto indiscutibile e quanto mai attuale, anche dopo 133 anni.

Copertina volume

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L. Galante, Pietro Cavoti. La Centopietre di Patù. Studi, Edizioni EdiPan, Galatina 2011, 206 pp. (euro 15,00).

[1] Si tratta di una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa sono state distrutte perfino le rovine. (Lucano, Fars., IX, 969). Si allude alla frase detta da Giulio Cesare visitando le rovine di Troia. Il motto si usa per indicare una distruzione totale, completa (da Wikipedia)